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Spalla del Lanciatore

Spalla del lanciatore

Cenni anatomici

La spalla o più precisamente l’articolazione gleno-omerale è una delle articolazione più colpite da infortuni nella pratica sportiva. Questo è dovuto all’elevato numero di strutture che ne fanno parte e che, se lesionate, aumentano la probabilità di comparsa di un dolore riferito alla spalla, ma non solo. Il motivo principale risiede nella “instabilità intrinseca” a cui sono sottoposti i capi articolari al fine di permettere quella formidabile escursione articolare propria della spalla su tutti i piani dello spazio.

Cosa è

Il rischio di infortunio alla spalla è particolarmente elevato in alcuni sport, primo tra tutti il baseball ma anche la pallanuoto, il tennis, il lancio del peso, etc in cui il gesto del lancio è parte fondamentale della disciplina stessa. Per inquadrare il dolore localizzato alla regione della spalla tra tali atleti è stato coniato il termine di “spalla del lanciatore o overhead shoulder”. Di tale sindrome fanno parte numerosi quadri clinici, come la sindrome da impingment subacromiale, le lesioni del labbro glenoideo, la tendinite del capo lungo del bicipite e altre, che tuttavia sono comuni anche nella popolazione generale. Il disturbo peculiare del lanciatore invece è rappresentato da un conflitto tra la superficie articolare del tendine del sovraspinoso e la porzione postero superiore della glena, detto Impingment Interno. La base anatomo-funzionale del disturbo è stata individuata nella presenza di una microinstabilità articolare connessa proprio al gesto sportivo del lancio.
Il lancio può essere suddiviso in 5 fasi successive (raccoglimento, caricamento iniziale e terminale, Accelerazione, rilascio della palla e accompagnamento) come mostrato in Figura. Tra la fine del caricamento terminale e l’inizio dell’accelerazione, la spalla è posta in massima extrarotazione e la capsula articolare anteriore viene stirata. Alla lunga, il progressivo allungamento della capsula fa si ché alla fine del caricamento la testa omerale si trovi sublussata anteriormente e con essa i tendini della cuffia, i quali vengono “pinzati” contro il bordo posteriore della glena durante l’accelerazione, dall’energica contrazione delle masse muscolari che porta l’arto superiore in avanti per effettuare il lancio.

Sintomatologia

I sintomi comunemente lamentati consistono nel dolore riferito alla spalla e nella riduzione della performance sportiva. È importante rivolgersi prontamente al medico perché se il disturbo viene individuato in una fase iniziale un ritorno ai livelli sportivi precedenti è possibile.

Quali ulteriori esami confermano la diagnosi?

Il medico potrà confermare la diagnosi tramite il riscontro della comparsa di dolore ai test della manovella e del fulcro. Tali test clinici sono generalmente usati per evocare apprensione/timore nei pazienti che soffrono di lussazioni gleno-omerali recidivanti. Il riscontro di dolore invece che di paura è altamente suggestivo di sindrome da impingment interno. Una Risonanza Magnetica della spalla, necessariamente con macchinario chiuso e di adeguato potere risolutivo, permetterà di osservare la presenza di una lesione tendinea e la sua estensione, reperti da cui dipenderà la scelta del trattamento.

Trattamento

La sindrome da overhead shoulder è quindi un disturbo da sovraccarico, in cui un numero eccessivo di ore di allenamento o un tempo di recupero insufficiente, insieme ad una tecnica non perfetta e una predisposizione individuale sono tutti fattori concausali che vanno conosciuti ed eventualmente trattati. L’approccio iniziale è infatti conservativo. Verrà attuato un programma di fisioterapia basato sul riposo funzionale con astensione dall’attività sportiva ed esercizi di propriocezione e di stretching in adduzione e intrarotazione per cercare di riequilibrare il gioco di forze necessarie alla stabilità gleno-omerale. Successivamente si passerà a un programma di potenziamento muscolare specifico. In caso di persistenza dei disturbi o di una lesione tendinea già evidente alla diagnosi, si opterà per una soluzione chirurgica. Al giorno d’oggi la diffusione della pratica artoscopica rende possibile la gestione della patologia attraverso tale tecnica mininvasiva. Tramite miniaccessi cutanei è possibile raggiungere l’articolazione e agire su capsula, tendini e le altre strutture limitrofe offrendo all’atleta un’alta percentuale di successo. Il trattamento artroscopico è meglio tollerato dal paziente, il recupero post-operatorio più rapido e la percentuale di ritorno ai precedenti livelli sportivi più alta.